Quando ti viene proposto un lavoro fotografico in cui viene chiesto di trattare un tema specifico, il primo approccio in genere è quello di fotografare dal tuo punto di vista il soggetto che ti viene proposto.
Questo invece era un caso diverso, poiché dovevo occuparmi di un tema delicato ma allo stesso tempo anche ampiamente trattato: la disabilità. Una disabilità tale da costringerti in carrozzina. Quindi ho scelto di fotografare dal punto di vista del soggetto, facendo in modo che fosse la quotidianità il centro della mia attenzione ma vissuta dal suo punto di vista.
Dunque mi sono seduto io stesso su una sedia a rotelle e ho fatto ciò che normalmente faccio: ho fotografato quello che mi sta intorno e che attrae il mio occhio di fotografo.
Fin da subito è stato strano, non lo nego. In un primo momento ho provato imbarazzo ma è durato molto poco. Non appena ho iniziato a “guardare”, tutto è si è rivelato molto diverso.
La mia prospettiva era completamente stravolta e non solo da un punto di vista prospettico. Tutto mi sembrava lontano, distante e difficile da raggiungere.
Il mio primo pensiero è stato:
– “IONONPOSSOFOTOGRAFAREDAQUI!”
Mi sembrava impossibile, quando mi occupo di street photography, quando faccio la mia fotografia, sono rapido, veloce, cerco sempre di cogliere l’attimo e di farlo dalla migliore prospettiva possibile, curando l’angolo di ripresa per valorizzare al meglio la scena che fotografo.
Adesso invece mi ritrovavo IMMOBILE, lento goffo e impacciato, con un solo punto di vista. Inoltre ero alle prese con la difficoltà di manovrare la carrozzina: non riuscivo a girare né a fermarmi quando volevo, dovevo preoccuparmi del manto stradale e del fatto che ogni piccola buca o dislivello poteva frenarmi, farmi “impuntare” mentre arrancando tentavo di virare verso quella che poteva essere una buona foto.
Stavo perdendo le speranze e non mi vergogno ad ammettere che quando è persino incominciato a piovere ho quasi pensato di mollare. Poi mi sono fatto forza e ho scattato la prima foto. E poi un’altra. E un’altra ancora. Dopo un’ora ero tornato a essere un FOTOGRAFO.
C’erano comunque delle differenze innegabili. Una su tutte la FATICA, una fatica enorme: cercare di prevedere cosa può accadere o cercare di raggiungere una scena prima che quella scompaia richiede un enorme sforzo e, seduto su una sedia a rotelle, tutti i tempi sono molto diversi.
A ciò si aggiungeva il fatto che in posti caotici come la stazione di Santa Maria Novella tutti rispetto a me si muovevano in modo fulmineo e frenetico, tanto che io per loro risultavo quasi un intralcio.
Altri luoghi che abitualmente frequento se fotografo FIRENZE, come la Loggia dei Lanzi o l’ingresso principale di Palazzo Vecchio, erano diventati addirittura INACCESSIBILI.
Quasi tutto era più alto di me, le carrozze con i cavalli mi parevano enormi, per non parlare dell’effetto che fa un furgone quando ti passa accanto. Vedevo tutto dal BASSO VERSO L’ALTO. Tutto tranne i bambini: alcuni di loro erano proprio alla mia altezza ed è capitato di lanciarci occhiate furtive mentre ci studiavamo a vicenda.
Nonostante tutto però dopo poco mi sono sentito completamente a mio agio, tanto concentrato su ciò che facevo che una turista giapponese mi ha persino chiesto di fotografarla con il suo cellulare mentre lei posava accanto a uno dei cavalli dei tipici cocchi fiorentini.
È stato un bel momento perché era assolutamente NORMALE.
Non posso certo dire che questa esperienza mi abbia fatto comprendere il reale disagio delle persone costrette a muoversi su una sedia a rotelle, ma di certo mi ha fatto capire ancora di più quanta forza possa avere l’uomo di fronte alle difficoltà e quanto queste ti rendano senza alcun dubbio più forte.